«Tutto, ma mai prete!» Questa è la frase che mi ripetevo sempre… Insieme a: «Adesso voglio vedere se esisti! Farò tutto il contrario di quello che mi hanno insegnato… se ci sei sentirò la tua mancanza, se andrò avanti lo stesso, io non ho bisogno di te! Sono io il dio della mia vita!».Ma Dio scrive dritto sulle righe storte e sappiamo che “tutto concorre al bene per coloro che amano Dio” (Rm8,28).
Quando la misericordia si affaccia nella vita di un giovane che vuol diventare prete, quando questo giovane conosce la misericordia, forse ha una marcia in più ,ma cosa succede effettivamente nella vita di un giovane prete? Questo giovane prete oggi è don Davide Banzato.
Intanto torniamo un po’ indietro nella tua vita. Torniamo vicino Padova, alla tua nascita. Questi campi di calcio che tu vedevi – ce lo raccontavi una volta – e che ti affascinavano, tanto da chiederti di chi fossero questi 7 campi da calcio! E scopri che sono i campi di un seminario minore. E cosa succede nella vita del Davide di allora?
Ho fatto parte di una famiglia allargata, meravigliosa che è anche quella della parrocchia, fatta di scoutismo, di incontri e anche di grandi esempi di sacerdoti belli, autentici, che mi hanno sempre trasmesso la fede; e poi la famiglia più ristretta che ho avuto – certamente tra i doni più grandi che ho nella mia vita – con un papà e una mamma che mi hanno trasmesso la fede, semplice e quotidiana, e grazie a questo sono cresciuto in un clima bello, sereno, positivo. Siamo in sei. Papà da un anno e mezzo è andato in Cielo. Adesso sono arrivati anche dei nuovi nipotini, ne ho 3, in arrivo un quarto. Una bella famiglia numerosa, come vedete, due sorelle e un fratello.
Quando ho incontrato il seminario minore era in occasione di una delle tante esperienze che facevamo nei weekend per i giovani chierichetti della diocesi. È stata una esperienza inizialmente molto accattivante: un ragazzo che vede 8 campi: da calcio, da rugby, da pallavolo, da basket… con altri trecento ragazzi!!! In verità, una qualche prospettiva anche per il sacerdozio non è che la escludessi dalla mia vita. Mi facevo già delle domande importanti.
Di che età stiamo parlando?
Era il ’94…93, sì, 13-14 anni.
Cos’ è la chiamata di Dio?
Dovrei raccontare le tante e diverse fasi che ho attraversato nella mia vita per poter parlare in modo più preciso di quella che si chiama la vocazione. Non ho sentito voci particolari che mi hanno parlato, però una voce nel cuore sicuramente sì! È come un innamoramento. Succede, penso, come tra due persone che capiscono essere giunto il momento di investire un’esistenza per sempre l’uno accanto all’altra, pur con tutte le difficoltà che questo comporta; c’è qualcosa dentro che ti spinge a credere che si può guardare insieme verso la stessa direzione.
La stessa cosa è per un sacerdote: senti un’attrazione, una spinta che ti conferma che quello che fai è ciò che Dio ti chiede. Per me è stato così. Alla fine di una storia anche molto travagliata vocazionalmente, ho sentito che Dio in qualche modo mi diceva: “Davide, tu puoi diventare un padre di famiglia, puoi anche diventare un sacerdote, puoi appartenere alla Famiglia di Nuovi Orizzonti (la maggior parte sono famiglie o laici consacrati); puoi essere un laico consacrato. Però, se tu ti fidi di me, io ti chiedo questo”.
È questo che io ho sentito.
Tu all’inizio non ti eri fidato, tanto è vero che il seminario non è stato un’esperienza totalmente soddisfacente. Tu esci a un certo punto dal seminario e dici: “mai prete!”.
All’inizio mi sono fidato, mi sono lasciato condurre, ho fatto un’esperienza bella, ma ho conosciuto anche aspetti bui della vita del seminario. Come tutte le realtà, anche il seminario mi ha presentato aspetti chiari e aspetti scuri. Anche Papa Benedetto diceva che una cosa è la Chiesa, una cosa sono gli uomini di Chiesa; bisogna saper distinguere dove c’è l’umano e dove c’è lo Spirito Santo che guida la Chiesa, nonostante gli errori degli uomini. Così è nell’esperienza di seminario: ho avuto esempi bellissimi e situazioni molto difficili. Il problema qual era? È che forse non era più al passo coi tempi, cioè seguiva un modello educativo col quale venivi subito tagliato fuori dalla famiglia, non avevi più il contatto con il tuo ambiente d’origine, tornavi a casa due volte al mese per poco tempo e in più veniva esercitata una pressione anche dalla parrocchia che già ti vedeva sacerdote anche se eri un ragazzino… Avevo 12, 13 anni. 13, 14, 15 anni: è un’età complessa. Alcuni hanno avuto la fortuna di essere stati supportati bene da educatori giusti, altri no e così le difficoltà aumentano fino alla rottura. Intanto sono grato al Seminario minore (“tutto concorre al bene per coloro che amano Dio”, dice la Scrittura) perché, grazie a queste esperienze, ho incontrato Chiara Amirante e quindi Nuovi Orizzonti. Nella vita di ciascuno c’è sempre un filo rosso, un filo d’oro, se lasciamo condurre le nostre esistenze a Dio. Però certamente sono uscito dal seminario nel peggiore dei modi.
A un certo punto io ho urlato verso il Cielo, dicendo: Dio, se Tu esisti, io d’ora in poi farò tutto il contrario di quello che qui mi hai insegnato. Per cui voglio vedere se sono io il dio della mia vita, se posso decidere io cosa è bene e cosa è male!
L’incontro con Cristo, con gli ultimi della terra, lo fai proprio durante un periodo estivo, durante una visita, un incontro con Chiara Amirante.
Avevo 14 anni. Ero un bambino. Vedendo le foto di quell’incontro, ero proprio un bambino! Avevo 14 anni e, quella sera, viene Chiara. Vi racconto l’episodio perché è pazzesco. Noi seminaristi avevamo due serate libere, anche d’estate, in cui si andava a prendere il gelato: da Borca di Cadore a S. Vito di Cadore. Io aspettavo la serata del gelato, perché era qualcosa di irraggiungibile, era un momento libero in cui ci si poteva muovere lungo i diversi paesi, si poteva fare incontri anche con le ragazze… questa era l’ipotesi di noi ragazzini di 14 anni… E a un certo punto ci dicono: “No, stasera viene una suora laica”. In realtà Chiara è una consacrata laica. E io: “No, anche questa sera, un’altra suora, no, vi prego!”. Ho protestato vivacemente con l’assistente. “Ma stasera è nostro diritto avere la serata libera”. E invece ci hanno detto: “No, ascoltiamola”. Non avevo voglia di ascoltare Chiara. Assolutamente. E quando Chiara ha iniziato a parlare, mi ha colpito subito l’intensità dei suoi occhi. Io, dentro di me, mi sono detto: “Sta parlando del Vangelo di cui io mi sono innamorato”, un vangelo che vissuto veramente ti cambia la vita e ho detto: “Ma perché non posso avere anche io la luce e la gioia che vedo nei suoi occhi?”. E questa è stata la domanda che ho fatto. Io volevo andare a vivere a Nuovi Orizzonti, subito. Non sapevo cosa fosse, ma ho intuito a 14 anni che la mia vita era quella: Nuovi Orizzonti.
Quella ribellione in cui appunto dici: “Dio, se tu esisti, guarda che io questa roba qua non la voglio, non la voglio fare”.
Esci dal seminario e torni ad essere Davide. Però con questa spinta verso chi ti è di fronte, verso il prossimo che tu non perdi.
Proprio durante l’incontro con Chiara io volevo uscire dal seminario. Alla mia domanda: “qual è il segreto per la felicità?” lei mi ha detto che la vita di ciascuno di noi è come un puzzle: il progetto meraviglioso che Dio ha su ciascuno di noi si vede solamente alla fine, se hai la pazienza di mettere un tassello alla volta.
La risposta di Chiara non mi era piaciuta, perché avevo capito che dovevo aspettare. Ho fatto un altro anno di seminario restando in relazione epistolare con lei, permessa dai miei superiori. Avevo anche il permesso di andare il sabato alla stazione ferroviaria di Padova. Dunque ho iniziato ad andare in strada a Padova a provare a fare quello che avevo visto fare da Chiara e lì ho sperimentato la gioia piena, effettivamente quello che lei diceva. E l’esperienza è stata bellissima. Mi ricordo di Angelo, il primo ragazzo che ho incontrato alla stazione di Padova, un barbone attorno cui ho girato per circa 30 minuti prima di fermarmi, perché non sapevo come approcciarlo. Poi ho detto semplicemente: “Ciao, mi chiamo Davide. Come stai?”. E da quel “come stai?”, tanti incontri alla stazione, uno dopo l’altro, che oggi continuano anche per mezzo di tutti quelli – Cavalieri della Luce – che vanno nelle stazioni di tutta Italia, nelle strade, nelle periferie esistenziali… e pian piano ci siamo trovati a meditare il vangelo in strada. Io distribuivo vangeli, per terra in strada, li leggevamo con gli ultimi, perché avevano una grande sete di ascolto, più che del panino. Quella piccola esperienza che avevo visto fare da Chiara e che lei mi ha guidato a fare a 15 anni mi ha segnato nel profondo.
Poi ho rinnegato tutto, nonostante avessi fatto una esperienza così bella. Vedete come si possono perdere i doni di Dio… io ho detto di no. Ecco il grave problema: ho detto di no liberamente. Per un anno ho fatto ciò che volevo. Non ho fatto cose gravissime, ma ho detto di no a Dio.
Hai conosciuto anche l’amore, poi?
Assolutamente sì. Ma anche positivo, più tardi. Però è stato un periodo in cui, pur non facendo cose gravi, ho sperimentato la morte dell’anima (come dice S. Paolo: “Il salario del peccato, il frutto del peccato è la morte”). Quella fiammella divina che è l’immagine e somiglianza di Dio dentro ciascuno di noi, ho iniziato a spegnerla, a soffocarla, perché non l’ho più alimentata.
Davide, questa tua famiglia che ti ha sostenuto, che ti ha trasmesso la fede, che ti ha lasciato un giorno all’ingresso di un seminario, che vedevi due volte al mese…, quando ha visto che tu ritornavi sui tuoi passi che reazione ha avuto?
Voglio dire che, grazie a Dio, è veramente una famiglia eccezionale. Penso che la mia famiglia sia uno dei doni che “gratuitamente ho ricevuto…”. Chiara ci insegna che, se non facessimo il bene noi cristiani, saremmo in una continua omissione di soccorso. Io doppiamente, perché ho avuto così tanto dalla mia famiglia…
e ti hanno giudicato?
No, sono sempre stati accanto, mi hanno sempre sostenuto, anche nelle scelte che non condividevano, mi hanno sempre ascoltato, accompagnato, anche giustamente contrastato. Mi ricordo molto bene le riunioni di famiglia la sera insieme all’amore con il quale cercavano di farmi ragionare. Nel bene e nel male delle mie scelte. Penso ad un episodio particolare: quando sono venuti in comunità la prima volta. A un certo punto sono entrato a Nuovi Orizzonti e papà e mamma sono venuti a trovarmi. Io ho detto loro a sorpresa di non prendere un albergo, che ci avrei pensato io. Ero in comunità a Piglio, vicino a Frosinone: ho messo papà con i ragazzi accolti e mamma con le ragazze. Papà era per la prima volta in comunità e inizialmente aveva provato sospetto, paura, perché, sai, non era la Nuovi Orizzonti di oggi, Associazione di diritto pontificio a livello internazionale, riconosciuta dalla Santa Sede, con tutti i centri nel mondo: era una comunità dove c’era Chiara Amirante, i suoi primi collaboratori e 27 ragazzi venuti dal carcere, dalla strada, dalle sette sataniche.
Insomma a quei tempi si poteva pure pensare che una setta che si stava prendendo tuo figlio…
Invece papà e mamma, dopo quella notte, a contatto con quegli inferi, di cui parla Chiara, con quei ragazzi strappati dalla strada e cambiati grazie al Vangelo, hanno capito la mia esperienza: da quel giorno sono i nostri più grandi sostenitori, vicini a questo tipo di situazioni.
Davide, tu hai sperimentato anche l’innamoramento per una donna con cui fare dei progetti, anche una scelta definitiva di dedizione, di offerta a Dio, nel matrimonio cristiano. Quell’amore perché non ti ha appagato a tal punto da scegliere l’Amore, per il quale oggi indossi l’abito? Qual è stato il passaggio?
Dopo la conversione o le tante conversioni – perché anche oggi sono in conversione continua, anche oggi chiedo sempre la misericordia di Dio e tutti i giorni ho bisogno della sua misericordia – ho incontrato per la seconda volta Nuovi Orizzonti a Padova, per cui ho sentito la spinta ad andare al primo ritiro mensile e mi è cambiata la vita dal giorno alla notte. Incontrando Chiara Amirante, il suo abbraccio, è partito per me di nuovo tutto un percorso di rinascita, basato sul vangelo. Ho avuto tre anni di fidanzamento e pensavo che andava bene così. Ero diventato un consacrato laico con le promesse di povertà, castità, obbedienza e gioia, la nostra quarta promessa caratteristica, perché la nostra comunità è fatta di laici consacrati, soprattutto famiglie aperte all’accoglienza, che si donano, vanno in missione, all’estero. Pensavo di poter essere come tutti gli altri. E sinceramente sotto sotto dicevo: “Signore, prete no, ti prego!”, perché era qualcosa che mi spaventava, non volevo. Nonostante io poi mi sia lasciato per altri motivi, per cui l’innamoramento e l’amore erano finiti, esperienze affettive belle le ho vissute…
E cosa ti ha insegnato quell’esperienza? A un prete cosa porta tutto questo?
L’esperienza che ho fatto è stata fondamentale per capire cos’è l’amore, perché una cosa è l’innamoramento: ti capita e non lo cerchi, una cosa è l’amore che è una scelta di tutti i giorni, un riscegliersi quotidianamente. E deve essere così anche per la vita di un sacerdote: se non alimenti quell’innamoramento iniziale, che può svanire, se non diventa amore tutti i giorni, ti spegni, è un fuoco che si spegne.
Durante questi anni di vita hai però sperimentato anche la morta di papà…come lo senti vicino a te e come senti vicina tutta la tua famiglia?
Papà è scomparso nel 2014…e lo sento ancora tanto presente; sento presente anche tutta la mia famiglia, mia madre, i miei fratelli: Chiara, Michele, Serena che sono stati sempre punti di riferimento gli uni per gli altri, mai come in questi ultimi cinque anni; un po’ per i quattro anni travagliati per la malattia e la morte di papà, un po’ per gli ultimi due anni pieni di gioia e di altre difficoltà, come tutte le famiglie, come tutto il mondo; anzi, penso che siamo graziati perché tutti i giorni sto immerso in situazioni devastanti. Comunque nelle difficoltà c’è una grande unità, unità vera, fatta anche di scontro, che serve per raggiungere un livello più alto di unità.
Se ti faccio una domanda imbarazzante ti chiedo perdono, puoi anche non rispondere: papà ti ha chiesto di celebrare tu il funerale, vero?
Papà era un uomo concreto, ma profondissimo anche spiritualmente; viveva una spiritualità veramente incarnata; infatti, quando forse aveva intuito che era vicino al momento cruciale nella vita – arriverà anche per tutti noi quel momento, quell’esame cui prepararci con più attenzione, come dice Chiara Amirante – mi ha chiamato in disparte nella camera e mi ha detto: “Senti, se te la sentirai, fai tu il funerale…”.
Io sono rimasto un attimo spiazzato… e ha aggiunto: “Però mi raccomando, una sola cosa” – e io pensavo dicesse una cosa importantissima! : “Non sta’ a dir monade” (dialetto veneto) che vuol dire: “Non dire stupidaggini”. Questo suo modo ironico di dire le cose più importanti mi ha spiazzato! Lo caratterizzava una buona dose di autoironia che comunicava sempre anche a me: “Cala, cala” – mi diceva – “rimani con i piedi per terra, rimani semplice, rimani radicato ai valori importanti, non guardare all’apparenza, alle cose che si gonfiano”. Questo suo atteggiamento umile e realistico è per me un insegnamento quotidiano che mi parla ancora oggi.
Lui ti ha visto però diventare prima diacono e poi sacerdote. Quand’è che, da quel “Mai più prete, mai prete!” invece capisci che la tua strada è proprio quella? Qual è stata la carezza della misericordia che ha fatto…
Diventare sacerdoti, padri o madri, è un dono, non un diritto; non si diventa sacerdote per una qualche qualità morale o perché sei migliore degli altri, è un dono gratuito, anzi io credo che mi sono fatto sacerdote per salvarmi, era l’unico modo con il quale potessi salvarmi, una grazia di misericordia.
Ho comunque vissuto una graduale scoperta di questa vocazione. È chiaro che Salvatore Boccaccio, il vescovo che mi ha ordinato, e Chiara Amirante, sono stati per me come il padre e la madre nella fede, coloro mi hanno generato; è grazie a loro se tutti noi di Nuovi Orizzonti abbiamo trovato un riferimento! È stato scoprire lentamente che Dio mi chiedeva di imparare a fidarmi. Questo atteggiamento di fiducia l’ho imparato con una preghiera che Chiara insegna a tutti noi: “In manus tuas, Domine”, la preghiera di Gesù sulla croce e anche quella nel Getsemani “Padre, a te affido la mia vita”.
Per me, riuscire a dire: “Signore mi fido di te! Se tu hai pensato per me questo, mi fido di te” è stato un passaggio che ho fatto anche grazie a Maria. Maria, in particolare, mi ha aiutato pian piano a passare dalla superbia del ‘so io cosa è bene per me’, al “mi fido di Te, Signore”.
E ho fatto bene a scegliere di fidarmi, perché la gioia che ho oggi, nonostante le fatiche che ci sono e gli alti e bassi delle vite di tutti, è immensa, unica, granitica, è uno dei frutti dello Spirito che resistono alle prove della vita. Magari non sempre è una gioia esuberante, è invece la pace di fondo che mi accompagna in qualsiasi momento.
Che cosa ricordi del giorno dell’ordinazione?
Tanta paura, tanta paura, perché ero in crisi… un travaglio doloroso… poi ognuno ha la sua storia.
Capita anche il giorno in cui ci si sposa…
Probabilmente… mi sono preso alcuni giorni di preghiera a La Verna, in mezzo agli ulivi, in mezzo alle montagne, in meditazione… e poi mi è nata una grande gioia, perché è stato proprio come un parto: tanto dolore, tanta attesa e poi in un istante il dolore passa e rimane solamente l’esplosione di gioia.