Tra i molti aneddoti che colorano la biografia del filosofo Diogene di Sinope (412 -323 a.C.) si racconta di quando, in pieno giorno, egli si mise a vagare per le strade di Atene con un lume acceso urlando “cerco l’uomo !”.
E’ questa un’immagine eloquente di una ricerca di identità che, più o meno consapevolmente, interpella ed accompagna non solo tutta la storia del pensiero ma ciascuno di noi.
L’uomo è “misura di tutte le cose” (Protagora) o è solo “ciò che mangia” (Feuerbach) ? E’ il frutto di una evoluzione casuale (Darwin) o è l’”immagine somigliante” di un Dio amoroso e provvidente (Gn 1,27)?
Capire chi sia l’uomo, perché esiste…da dove viene e dove va, non può esserci indifferente perché dalla risposta a queste domande esistenziali scaturisce ogni etica sia personale che sociale.
Non è questo il luogo per fare una rassegna critica delle varie antropologie…vorrei però riflettere brevemente su alcuni principi fondanti l’antropologia cristiana. lo faccio alla luce di quanto è emerso nel recente convegno della Chiesa italiana a Firenze “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, a cui ho avuto il privilegio di partecipare come delegato della mia diocesi.
E’ indubbio che nelle piazze delle “polis” di questo nostro tempo, l’uomo si vada perdendo, abbagliato da fari artificiali che, confondendo anche il sole della ragione, gli fanno perdere l’orientamento. E’ necessario allora rimettersi alla ricerca dell’uomo, ricominciando dal labirinto di quei vicoli desolati e contorti in cui vaga senza meta e e senza riferimenti. Occorre farsi voce di Dio che, nel giardino di Eden e nei sentieri della storia continua a cercare ogni Adamo nascosto e a gridare il suo deluso ed innamorato “dove sei ?” (Gn 3,9).
Non si tratta di cercare soltanto ma, anche e soprattutto, di offrire risposte. La Chiesa, rivendicando il suo essere “esperta in umanità”, lo fa da sempre proponendo come modello il Cristo in cui l’umanità trova la sua piena realizzazione. In questa logica si è svolto il recente convegno di Firenze in cui si è prospettata la nascita di un nuovo umanesimo proprio a partire da Cristo e dall’ascolto della Parola rivelata. Attualizzando l’aneddoto di Diogene possiamo quindi affermare che per trovare l’uomo sia necessario mettersi alla ricerca del Verbo fatto carne, alla ricerca della sua persona teandrica di “uomo perfetto” (natura umana) e di Cristo di Dio (natura divina).
Per favorire un nuovo umanesimo cristiano, credo sia necessario (ri)presentare un Gesù dal volto umano. Non il Cristo della Teologia (da cui naturalmente non si può prescindere!) ma quello del Vangelo. Quello che perdona alla prostituta che “ha molto amato” (cfr Lc 7,36-50), che non condanna la donna adultera (gv 8,1-11) e che si fa “buon samaritano” per ogni uomo. Questo volto “umano” di Cristo deve incarnarsi storicamente nel volto della Chiesa. Non la Chiesa fatta di “istituzioni” (che pure le sono necessarie !) ma quella incarnata nella gente e tra la gente, quella con le mani sporche di umanità, ospedale da campo e casa accogliente. In questa logica invito a leggere e meditare il meraviglioso discorso che Papa Francesco ha voluto rivolgerci nella cattedrale di S. Maria del Fiore, la mattina del 10 novembre.
Non si può negare che proprio il magistero e l’azione di papa Francesco, ma soprattutto il suo stile di vita, stiano favorendo, non poco quel cammino di configurazione evangelica della Chiesa che culminerà solo alla fine dei tempi. Non parlerei di riforma strutturale in quanto la fedeltà assoluta alle verità dogmatiche non è e non può essere in discussione, ma di un progresso naturale della Chiesa itinerante che, nello spirito del Concilio Vaticano II, è chiamata ad incarnarsi nella contemporaneità superando immobilismi anacronistici.
In sintesi, lo sforzo di costituire un nuovo umanesimo deve ripartire da Gesù Cristo che a Cesarea di Filippo, ma anche oggi, chiede ai suoi “…ma voi chi dite che io sia ?” (Mt 16,15) e che risorto, invia tutti ad essere suoi “testimoni fino agli estremi confini della terra” rassicurandoci che “io sarò con voi fino alla fine dei tempi” (Mt. 28,20). Tutto questo esige una Chiesa dinamica, capace di creare dialogo con il mondo in cui è incarnata, forte delle sue certezze ma anche debole del suo bisogno di trascendenza…insomma una Chiesa missionaria capace di perdere privilegi storici ma intransigente nella sua testimonianza evangelica.
Il convegno di Firenze, facendo proprie le indicazioni date da papa Francesco nella E.G., ha proposto cinque verbi come vie dove (ri)proporre la novità umanizzante del vangelo alla chiesa italiana: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare. Cinque verbi che esprimono azioni interdipendenti ed imprescindibili. Bisogna infatti superare l’inerzia strutturale e la semplice ripetizione pedissequa di prassi pastorale inveterate ed uscire verso un mondo in continua evoluzione lasciandosi interrogare dalla realtà e ascoltando lo smarrimento della gente. A questa gente la Chiesa è chiamata a portare il suo annuncio in maniera credibile, individuando nuove strategie pastorali e nuove “agorà” (prima fra tutte: la rete) dove proclamare il vangelo. A questo proposito voglio confidarvi con gioia che da più parti nei diversi gruppi di studio è emerso come modello da seguire quello di “Nuovi Orizzonti”. Per evangelizzare – come sempre diciamo a Nuovi Orizzonti – è necessario riportare il Vangelo dove esso è nato: nella strada, nelle comunità concrete, nei luoghi di incontro, insomma la Chiesa deve abitare il territorio attraverso una presenza solidale e fraterna che non si limiti ad essere filantropia sociale, ma carità evangelica. Non si tratterà solo di abitare un territorio, ma di abitare anche le coscienze attraverso un educare che non sia invasione violenta o indottrinamento ma accompagnamento nella ricerca del vero e dell’umano, superando il pregiudizio diffuso che i contenuti cristiani siano culturalmente minoritari. Tutto questo deve trovare la sua fonte e il suo culmine nella trasfigurazione che la vita liturgico-sacramentale opera e deve operare. Di qui il richiamo a riscoprire e a curare la bellezza delle nostre celebrazioni, la verità dei segni e dei ruoli, la sobrietà dei gesti…la gioia dell’incontro col Mistero che nella Liturgia si svela.
Al di là delle relazioni ascoltate, dei lavori di gruppo, delle indicazioni programmatiche, quello che mi resta è la coscienza di aver vissuto un’autentica esperienza di ecclesialità, all’interno della quale, vescovi, sacerdoti e laici ci siamo confrontati in maniera sinodale animati da un unico grande amore per la Chiesa e per le Chiese con la coscienza di doverci impegnare ad esserne costruttori nel nostro tempo.
Certo… e lo dico con non poca amarezza, al clima bello che ha accompagnato i giorni di Firenze, hanno fatto da contrappasso gli scandali e le controtestimonianze che hanno infangato il volto della Chiesa italiana e che ne stanno compromettendo la credibilità presso i semplici. Fa male sentire di pastori che preferiscono il profumo dei soldi a quello delle pecore… ma dà coraggio il fatto che si sperimenta come la vera Chiesa, quella che si è mostrata al convegno di Firenze, sia vivace e per nulla abbattuta: cosciente del proprio peccato, ma forte della sua Fede.
Ecco questa è la Chiesa che amo…quella di papa Francesco, quella del mai dimenticato vescovo Salvatore… la Chiesa di cui “Nuovi Orizzonti” si sente piccola cellula vitale: La Chiesa di Gesù vero uomo che conosce e salva ogni umanità.
Don Sergio Reali