Omelia del Vescovo Spreafico all’inaugurazione di Cittadella

DSC06341Domenica 6 novembre 2016 dinnanzi a 4.000 persone presso il Palazzetto di Frosinone si è svolta la Celebrazione Eucaristica presieduta da S.E.Mons Ambrogio Spreafico.

Presso la Cittadella Cielo a Frosinone si è tenuta la cerimonia del taglio del nastro e nel pomeriggio ci sono state testimonianze, interventi ed esibizioni canore.


DSC05833E’ possibile rivedere i diversi momenti della giornata nella Pagina Facebook di Chiara Amirante dove sono stati trasmessi in diretta streaming.

 

Qui si seguito pubblichiamo l’omelia del Vescovo con il Video in cui Andrea Bocelli canta e interviene alla fine della Messa


XXXII domenica del tempo ordinario (anno C) – Omelia di S.E. Mons Ambrogio Spreafico

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Al termine di questa settimana in cui la Chiesa fa memoria dei Santi e dei morti, settimana in cui anche ciascuno di noi ha ricordato in modo particolare i suoi cari defunti, ascoltiamo questo Vangelo che insiste ancora sul mistero della vita e della morte. Gesù si trova nel tempio di Gerusalemme e molti gli si avvicinano per ascoltarlo e per porgli domande. Alcuni però vogliono metterlo in difficoltà, come questi sadducei che lo interrogano sulla vita oltre la morte. I sadducei infatti non credevano nella resurrezione. Pongono una domanda, ma in realtà hanno già in testa la risposta. Capita anche a noi. A volte poniamo domande a Gesù, ma abbiamo già la risposta confezionata, la nostra risposta, non quella del Vangelo. La risposta delle nostre convinzioni, abitudini, ideologie. Quante volte cerchiamo di piegare Anche Gesù a noi stessi. E’ un problema serio anche dei cristiani. Chi ascoltare? Noi stessi e Gesù?

Cari amici, Gesù tuttavia non sfugge alle nostre domande, che sovente mostrano l’incertezza e anche la rassegnazione della nostra vita. Siamo complicati e ci piace complicare anche Gesù. Nascosta dallo scetticismo di quegli uomini la domanda tuttavia è seria. A lui, l’unico che può dare risposte a uomini e donne troppo sicuri di sè, questi uomini chiedono se la morte sarà l’ultima parola sulla vita. Anche noi, cari fratelli, siamo a volte molto simili ai sadducei. Da una parte abbiamo paura delle domande troppo complesse, quelle vere sulla vita e sul futuro, dall’altra vorremmo sapere, conoscere cosa sarà di noi e dei nostri cari oltre la morte.

Ma chi può dare risposte? Da chi andare?

La risposta di Gesù ci colpisce, perché egli non evita quella domanda complicata. Nella semplicità della sua risposta è evidente tutto il suo potere di figlio di Dio: «Quelli che sono giudicati degni della vita futura e della resurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito; infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della resurrezione, sono figli di Dio». Le parole di Gesù sono parole di speranza, e rivelano un potere così grande sulla vita che quegli intellettuali non osavano più chiedergli niente.

C’è una dolcezza nel parlare di Gesù agli uomini sulla morte; dice che nell’aldilà saremo uguali agli angeli, cioè splendenti della luce che emana da Dio Padre. Gesù non nega la morte, non ne scaccia il pensiero, come qualcosa di brutto di cui mai si deve parlare con gli altri per non rattristarli o impressionarli. La morte è vera, è scritta nella vita di ciascuno di noi fin dalla sua origine, ma la morte non ha l’ultima parola su di noi. La morte ci accomuna, ci rende uguali, come la nascita. Nessuno se la dà e nessuno può togliersela arbitrariamente. Cari amici, non siamo tuttavia figli della morte, Gesù in questo Vangelo ci chiama “figli della resurrezione”. Se la morte è scritta nella vita di ciascuno, la resurrezione è scritta in noi da prima della nostra nascita. E questo perché siamo “figli di Dio”. Ma poi, accogliendo la provocazione dei sadducei, Gesù ci fa anche guardare per un attimo oltre il velo della morte e ci svela un po’ della condizione degli uomini e delle donne dopo la morte.

Se è vero che nel paradiso nessuno prenderà più moglie o marito, cioè se la vita non si svolgerà come la intendiamo noi sulla terra, è anche vero che il nostro è un Dio dei vivi, è il “Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe”. Nel regno del Padre avremo cioè la consapevolezza di essere vivi, e contemplando il Padre come angeli, ci ritroveremo in una comunione di amore che a fatica sulla terra riusciamo a vivere. E’ quella che la Chiesa chiama comunione dei santi e che già in questa vita siamo chiamati a costruire in quello spirito universale che deve sempre caratterizzare l’esistenza cristiana. E invece a volte siamo prigionieri delle meschinità della divisione, di un io che non è mai contento, che deve sempre recriminare dei diritti nei confronti degli altri, che ha paura di dare perché pretende e vuole per sé. Cari amici di Nuovi Orizzonti, la Cittadella Cielo, che oggi inauguriamo solennemente, sia il segno di questa comunione, di questa unità di amore che nella vita perdiamo, sia luogo di accoglienza per tutti, al di là delle scelte di ognuno. Sia segno di quella Chiesa in uscita, di cui papa Francesco ci ha parlato, che sa ascoltare e raccogliere i dolori del mondo e soprattutto dei poveri.

Cari fratelli, questa comunione di vita dà gioia e speranza e consente anche di non disperare di fronte ad immagini di violenza e di morte nel mondo, perché non sono l’ultima parola sulla vita degli uomini. La morte non è l’ultima parola sulla vita dei bambini in guerra, sui profughi che annegano nel mare, sulle vittime dell’ingiustizia e della povertà, sulle vittime del terremoto che ha colpito l’Italia. Non è l’ultima parola sulla vita dei nostri cari che si spengono a volte nella malattia. Le parole di Gesù, cari fratelli, sono parole di resurrezione. Tutto il Vangelo, tutta la Scrittura è parola di resurrezione. Dice il Signore di se stesso: «Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in me non morrà in eterno».

DSC06316Come vivere allora come figli della resurrezione già in questa vita? E’ possibile nonostante la nostra fragilità, le nostre incertezze, le nostre paure? A volte si preferisce vivere come figli delle tenebre, figli di se stessi, del proprio io, delle proprie convinzioni e abitudini. Gesù ci ha lasciato una parola di vita, la sua. “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna!”. Disse Pietro a Gesù quando molti lo abbandonarono perché le sue parole sembravano troppo difficili. Signore, da chi andremo per vivere, per essere donne e uomini della resurrezione, per dare vita a chi ci sta intorno e a volte muore dietro se stesso, prigioniero di se stesso? Da chi andremo per essere angeli di pace, di misericordia, di amore, felicità, speranza per i tanti smarriti della vita, per non rimanere prigionieri delle divisioni e del male? Da chi andremo se tu non sei con noi? Signore, rimani con noi come ora in questa celebrazione festosa, piena di luce e di amore. Rimani con noi, come ti chiesero quei due discepoli rassegnati e tristi che tornavano al loro villaggio pensandoti morto per sempre. Non avevano capito che tu eri proprio con loro, come oggi sei con noi vivo nel pane spezzato per noi e nella parola di vita eterna. Rimani con noi perché non ci perdiamo. Grazie Signore, perché noi sappiamo che sarai sempre con noi! Ti preghiamo, fa che anche noi rimaniamo sempre con te!

Amen

+ S.E.Mons Ambrogio Spreafico