Una mattina siamo arrivati in una favela accolti da una donna e i suoi figli che abitano una casa di fango. Questa mamma è una delle tante mamme “guerriere” che cercano di lottare ogni giorno. La sua famiglia ci ha accolto con grande dignità vestiti a festa per ringraziarci del sostegno attraverso il progetto Coração di Nuovi Orizzonti.
Un volontario che era con noi (Guido Frieri, fotografo professionista autore degli scatti della missione) ha fatto un complimento per il cappello del ragazzo più grande. Il contesto in cui ci trovavamo era di povertà estrema. Al rientro dalla nostra visita ci siamo radunati in comunità quando ci ha raggiunto Dania, la responsabile della Cittadella Cielo di Quixadà, per consegnare a Guido e ad Emanuele un cappello ciascuno dicendo:
“Quel bambino ci teneva a regalarveli”. Quel ragazzino che vive nella favela si era privato dei suoi unici due cappelli per regalarli a noi! Siamo rimasti interdetti, paralizzati, spiazzati e senza parole.
Questi bambini hanno pochi indumenti belli che usano per poter andare in città o a Messa in modo dignitoso e non essere discriminati. Quelli che ci ha regalato erano i suoi unici due cappelli a cui teneva più di ogni altra cosa. Quando eravamo da lui li aveva esibiti con orgoglio. Eppure non ha esitato a donarli quando ha capito che piacevano ad Emanuele e a Guido. Ha donato davvero tutto ciò che di più prezioso aveva.
Ieri sera ero al telefono con un mio fraterno amico a cui ho raccontato questo episodio che mi ha toccato nel profondo. È stato lui a dirmi che il titolo perfetto sarebbe stato: “Dio in un cappello”. Non avevo pensato di scrivere quanto accaduto. Dovrei scrivere migliaia di pagine per ogni giornata vissuta e per ogni volto, ogni sguardo, ogni incontro, ogni contatto fisico mi hanno lasciato un nuovo segno profondo nel cuore. Forse però davanti a tanto male questa piccola perla preziosa può fare del bene. In quella mattinata ho incontrato Dio in un cappello.
È ad episodi come questi che mi ancoro quando la mia mente ripensa a quanti bambini ho abbracciato percependo il loro grido infernale e il loro smisurato bisogno d’affetto.
Vorrei prenderli uno ad uno per poterli proteggere facendo scudo col mio corpo evitando che altri possano sfregiare la loro infanzia così incolpevolmente rubata. Vorrei afferrarli e librarmi nel Cielo volando insieme per portarli via da tutto questo.
L’astratta parola missione suona poetica ed eroica. Ma non c’è poesia nel fetore delle fogne a cielo aperto delle favelas e neppure negli atroci abusi che ogni giorno si consumano. Non c’è poesia nella normalizzazione della prostituzione minorile, della violenza e della droga. Non c’è poesia in situazioni strutturate di perversione ed ingiustizia sociale.
Forse c’è eroismo in chi dà la vita ogni giorno opponendosi al male e cercando di costruire un mondo migliore. Eppure Sandra – la responsabile di Nuovi Orizzonti in Brasile – reagisce male quando uso questa parola. Forse ha ragione. Ricordo le tante volte in cui Chiara Amirante – ricevendo qualche premio – ha risposto:
“Non ho fatto nulla di straordinario. Ho solo fatto il mio dovere. Se non prestassimo aiuto durante un incidente commetteremmo omissione di soccorso”.
Anche questa volta in missione i poveri e i piccoli mi hanno evangelizzato.
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