Fin da piccola per le vie della mia città, vedendo le persone che vivevano per strada, la gente che mendicava, le persone che rimanevano in ginocchio per ore, mi sono sempre fatta molte domande:
ma come fanno a stare tutto il giorno lì seduti? A cosa stanno pensando? Chissà che storia hanno, cosa stanno vivendo? Saranno felici?
Anche crescendo, queste domande non se ne sono mai andate e quella bambina curiosa si è trasformata in una ragazza che ha cominciato a riflettere più a fondo e a cercare delle risposte. La povertà, l’emarginazione, l’esclusione sono temi che mi hanno sempre toccato.
Forse perché la mia è una storia di adozione e vengo da una delle città più povere dell’India, Calcutta.
Vedere queste persone mi ha sempre riportato lì, a immaginare quei posti lontani, che diventavano molto vicini. Molte volte pensiamo che la povertà sia qualcosa di lontano da noi, che non ci può toccare, e la collochiamo in paesi come l’Africa o l’India o chissà dove. Ma non è così.
La povertà e l’emarginazione le abbiamo a portata di mano, ci toccano, anche se noi proviamo a sfuggirle.
Di questo ho fatto esperienza in prima persona ancora una volta grazie alle attività di strada alla Stazione Termini di Roma, proprio lì, dove Chiara Amirante ancora giovane, con tanto coraggio, ha iniziato ad andare per incontrare chi nella stazione ci vive, si rifugia, ed è accomunato dallo stesso destino di abbandono ed emarginazione.
Prima di ogni attività di ascolto e di incontro ero molto emozionata e preoccupata e mi chiedevo:
“Cosa posso dare io a queste persone? Io che dalla vita ho avuto tutto, come posso comprendere certe ferite, certe povertà, certe storie?”. Durante quelle sere, nel mio cuore, risuonava forte una domanda: “Che cosa mi stai chiedendo Signore?”. E sempre si faceva chiara la risposta: amale come nessuno ha fatto nella loro vita, ascoltale, parlaci, prega per loro e con loro, sii una goccia d’amore e di gioia nell’oceano di sofferenza della loro vita, una testimone coraggiosa dell’Amore.
Certo è qualcosa di importante, di difficile, una responsabilità, ma è anche un dono. La paura nasce perché si pensa di non essere all’altezza, di non poter cambiare le cose, ma è proprio quel nostro piccolo gesto che nelle mani del Signore diventa qualcosa di grande. Quello che ho fatto è stato solo piantare un semino in quel deserto, consapevole che il Signore può far crescere un fiore. Le persone che ho incontrato a Roma Termini penso siano ancora lì; quello che è cambiato però, è che ora per loro prega una persona in più, chiamandole una ad una per nome.
Ratna Marangon