L’inconsueta circostanza del calendario che in questo anno 2016 fa coincidere il Venerdì della Passione del Signore con il giorno tradizionalmente assegnato alla memoria della Incarnazione del Verbo (25 marzo) suggerisce il tema di questa breve condivisione teologica.
Sa di strano associare la dolcezza poetica del Natale, plasticamente significata dall’immagine del “presepe”, con la drammatica scena della passione, che ha al centro il Cristo sfigurato e sofferente e l’umano dolore di Maria sua madre. Eppure ci troviamo nel cuore del medesimo mistero, che trova nell’incarnazione la sua ragione profonda..
La meravigliosa contemplazione teologica che costituisce il prologo del vangelo secondo Giovanni, trova il suo punto centrale nell’affermazione “il verbo si fece carne e pose la sua tenda in mezzo a noi” (Gv 1,14). La parola carne (e ancor più il termine greco originale sarx) indica l’uomo concreto, soggetto alla caducità e alla contingenza. Nel seno della Vergine Maria si compie perciò il miracolo più grande: Colui che era “generato prima dei secoli cominciò ad esistere nel tempo” (cfr: Prefazio II di Natale), l’incommensurabile si fa “piccolo” e “la nostra debolezza è assunta del Verbo” (cfr: Prefazio III di Natale). La ragione di tutto questo è sintetizzata magistralmente da Agostino: “Dio si è fatto uomo perché l’uomo si facesse Dio” (Cfr Discorso 371). Si comprende pertanto come tutto il mistero di Cristo (Incarnazione, Passione, Morte e Resurrezione) porti in se due aspetti fondamentali: da una parte quello soteriologico per cui Egli “ morì per i nostri peccati” (cfr I Cor 15,3) e dall’altra quello della divinizzazione che ci rende figli nel Figlio (Ef 1,3-5).
Il fatto dell’Incarnazione, e ancor più la Passione ci mostrano l’inaudito realismo dell’amore patrimaterno dell’ Unitrino che non si limita a dialogare con noi, ma si immerge nella nostra storia e assume su di sé la fatica e il peso della vita umana: si fa uomo e si fa crocefisso!
Questo “abbassamento” di Dio verso l’uomo trova il suo culmine nella morte di Gesù in croce e nella sua esperienza di abbandono e lontananza del Padre (Mt 27,46). E’ questo infatti l’atto di solidarietà più profonda di Dio con l’uomo (Fil 2.5-8).
Facendo esperienza della morte, ed entrando negli “inferi” Cristo di fatto “salva” anche questa dimensione fondamentale dell’esperienza umana e porta a compimento – mi si permetta l’espressione- quanto iniziato nell’incarnazione.
Si può quindi a ragione dire che Cristo può applicare pienamente a sé l’espressione di Terenzio “homo sum umani nihil a me alienum puto” (sono uomo, niente di ciò che è umano ritengo essermi estraneo).
Rubando una frase ad una poesia giovanile di S. Giovanni Paolo II, possiamo affermare che nel mistero di Cristo, “Dio venne fin qui, e si fermò ad un passo dal nulla vicinissimo ai nostri occhi”. Nella incarnazione, nella morte in croce e nella discesa agli inferi Dio trasforma in azione il desiderio di ritrovare e ricondurre a se l’uomo, dando concretezza al grido terribile che attraversa la storia: “Adamo dove sei ?” (Gn 3,9). Egli non solo ci cerca nella quotidianità della vita ma ci cerca anche nella dimensione della morte…”ad un passo dal nulla” !
Trovo poi un ulteriore parallelismo tra l’episodio della Incarnazione e quello del Calvario. Mi riferisco alla presenza di due “attori” fondamentali: lo Spirito Santo e Maria.
A Nazareth è lo Spirito Santo che, “stendendo la sua ombra” su Maria, compie l’incarnazione (cfr Lc 1,35), ed è ancora la Spirito Santo ad essere effuso dalla croce sulla Chiesa neonata nell’estremo sospiro del Cristo morente (cfr Gv 19,30). Questo fatto ha – secondo me – un grande valore ecclesiologico: è lo Spirito che a Nazareth, “realizzando” l’incarnazione, inaugura il tempo dell’umanità nuova e che a Gerusalemme, come dono sponsale di Cristo alla Chiesa, inizia ad assisterla garantendone l’indefettibilità fino al ritorno dello stesso Cristo alla fine dei tempi.
A Nazareth, certamente nell’ambito di una esperienza mistica, con il suo “fiat” Maria consegna a Dio tutta la sua vita. E’ un “si” certamente difficile che metteva in discussione non solo un progetto di vita e che poneva Maria nel pericolo di essere considerata adultera, ma comunque è pronunciato in un contesto direi “favorevole”. C’è l’arcangelo Gabriele, c’è l’assicurazione di essere “piena di grazia” e c’è il segno della maternità tardiva di Elisabetta (cfr Lc 1,26 -37).
Diverso il contesto scenico del Calvario, ma medesimo il “si” di Maria. Qui lei è solo la madre del condannato ad una morte atroce ed infamante, non c’è nessuna esperienza mistica ma solo il dolore della “spada” che trafigge l’anima (cfr Lc 2,35). In questo clima di fallimento umano, Maria resta salda nella sua fede e diventa madre in senso più ampio (Cfr Gv 19,25 – 27). Sul Golgota l’obbedienzialità Cristo porta a compimento il progetto salvifico della Trinità (Cfr Gv 19,30) ma anche Maria, porta a compimento, o meglio, porta a compimento ed inaugura in pienezza la sua vocazione di madre.
A conclusione, vorrei invitare a contemplare ancora una volta la realtà che sottende tutto il mistero che in questi giorni stiamo rivivendo. Quello dell’amore incommensurabile di Dio che “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (cfr Gv 3,16)…una vita eterna che è il frutto dell’azione di “Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani” (Cfr 1 Cor 1,23).
Possa il Signore concederci di vivere fruttuosamente questa Pasqua per poter essere un’umanità in più in cui tutto il mistero salvifico del Figlio eterno del Padre, incarnato e Crocefisso possa essere rinnovato.