Pubblichiamo questo testo scritto da Lucia Tognarini ricordando l'esperienza vissuta con mamma Mietta.
Chiamarti mamma è stato sempre difficile per me. Perché una mamma ce l’ho avuta, mi ha amato visceralmente, e a nessuno ho mai dato il permesso di prendere il suo posto.
Eppure se oggi ti penso, ti penso mamma. Mamma per me. Mamma per quest’opera. Mamma per tanti, più di quelli che possiamo immaginare e contare.
Oggi ti penso “mamma” riscoprendoti nella tua maternità più grande e più viscerale, quella che ti ha visto madre di Chiara.
Ti vedo nell’attesa, nelle doglie del parto, nella gioia incommensurabile di dare alla luce la vita. Ti vedo nella vostra Nazareth, prenderti cura di lei bambina, starle accanto alle prime febbri, proteggerla dai pericoli, rialzarla alle prime cadute. Ti vedo accompagnarla nella crescita e contemplare quei primi germogli di una fede straordinaria e inaspettata che vedevi spuntare in lei. E ti vedo, con attenzione e meraviglia, coltivare quel terreno fertile, preoccupandoti di annaffiarlo, di allontanare spine e rovi, di rimuovere le tracce di asfalto, fin dove ti era possibile, fin dove una mamma poteva farlo, rinunciando a capire, pronta ad accogliere, serbando tutte queste cose nel tuo cuore.
Quante volte l’hai persa e ritrovata nel Tempio. Quante volte hai scelto il silenzio invece di dirle ciò che doveva fare, perché la vedevi occuparsi delle cose del Padre suo.
Chissà se qualcuno ti ha detto che anche a te una spada avrebbe trafitto l’anima. Mi sembra di vederti nel momento in cui intuisci che questo avverrà. In strada, alla Stazione Termini, non potevi seguirla.. non potevi tenerla sotto la tua custodia amorevole. L’hai lasciata andare, hai rinunciato a proteggerla per affidarla alle Mani di Qualcun Altro.
E poi ti vedo i primi tempi a Trigoria e a Piglio, andare da lei per vederla e passare del tempo insieme .. e aspettare fuori con discrezione, con l’umiltà di metterti in coda alle altre madri e agli altri fratelli, accettando anche tu di far parte di una famiglia più grande.
Quella famiglia più grande l’hai fatta tua, sapendo che in essa avresti perso te stessa. Da madre sei diventata discepola. Sei venuta a Piglio, hai lasciato la tua bellissima casa per una piccola casa di legno, che con te è diventata una nuova Nazareth, uno spazio di accoglienza, di cura, di ascolto, in cui sono passate tante vite, tante storie, tante anime assetate di Amore.
Sei stata davanti al cuore e al corpo crocifisso di una figlia che ha scelto di entrare nella porta stretta degli inferi del mondo. Il tuo stabat si è consumato ai piedi della sua croce, dove hai avuto la forza di stare, sola, madre, con pochi altri.
Lì quella spada è arrivata. L’hai portata senza mai smettere di sorridere e hai permesso che ti dilatasse il cuore. Madre ecco i tuoi figli.. sono tanti.. sono feriti.. soli.. abbandonati.. inghiottiti dai tentacoli della morte spirituale.. nel freddo gelido della separazione da Dio.. sono altri crocifissi.
Ci hai accolto. Uno ad uno. Nel tuo cuore trafitto e dilatato all’amore.
E sempre hai voluto parlare delle “cose belle”, perché il Paradiso non poteva attendere e tu lo sapevi, gli attimi di eternità sono già racchiusi nei nostri giorni e la Gioia del Cielo ha il sapore delle cose belle su cui troppe poche volte posiamo lo sguardo.
La tua maternità eroica è l’eredità più grande che oggi mi lasci, come madre e come figlia.
Insieme a poche parole, semplici e sagge, come eri tu, che tolgono potere agli inferi e ci riportano al Cielo:
da ora e per sempre solo cose belle!