Rubo a Dante Alighieri questo verso, usato da lui per esprimere un concetto diverso dal mio, per farne spunto di una piccola riflessione teologica, che condivido con quanti di voi avranno la pazienza e la carità di seguirmi fino in fondo.
“ S’io mi intuassi come tu ti immii” (Cfr Paradiso IX,81).
Messo sulla nostra bocca questi due verbi ottativi divengono una bellissima preghiera, adatta a queste settimane in cui facciamo memoria del mistero del Verbo di Dio che, fattosi carne, viene ad attendarsi nella nostra storia. Quanto sarebbe bello che noi ci “intuassimo” in Cristo così come Egli, assumendo la natura umana si è “inmiato”, cioè si è fatto intimo ad ogni “me”, a ciascun uomo di ogni tempo!
Il mistero dell’incarnazione costituisce il supremo atto di amore di Dio. Nell’evento di Gesù di Nazaret è Dio stesso, che non solo ha parlato all’uomo, gli ha mostrato segni mirabili, lo ha guidato lungo tutta una storia di salvezza, ma, nella persona del Figlio, si è fatto uomo e rimane uomo. Insomma: L’Eterno è entrato nei limiti del tempo e dello spazio, per rendere possibile in ogni quotidiano l’incontro con Lui. Non solo, ma rivestendosi della nostra umanità egli diviene il salvatore dell’umanità. Infatti, come ci ricorda il Simbolo della fede: Egli “…per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo..” e, come canta il preconio pasquale, “ …Egli ha pagato per noi all’eterno Padre il debito di Adamo, e con il sangue sparso per amore, ha cancellato la condanna della colpa antica…” L’incarnazione e la nascita del Figlio di Dio, segnano perciò i prodromi del mistero pasquale, proprio come l’alba che precede e fa già presagire la luce del giorno.
Ireneo di Lione (130 -202) ci ricorda:
“Come potrebbero gli uomini raggiungere la salvezza, se Dio non avesse operato la loro salvezza sulla terra? O come sarebbe l’uomo andato a Dio, se Dio non fosse venuto all’uomo?” (Adv. Haereses”, IV, 33. 4).
La nostra natura umana, perché creata e perchèsegnata intrinsecamente dal peccato, non è in grado di “intuarsi – compenetrarsi” in Dio senza l’aiuto della grazia che ci deriva proprio dall’incarnazione e dal mistero pasquale di Cristo.
L’ immiarsi di Dio, esige come risposta da parte nostra un impegno ad intuarci in Lui, facendo crescere in noi “gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5) fino a poter dire con Paolo “non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Questo è possibile attraverso la preghiera, l’ascolto della Parola e la vita sacramentale: ma non solo ! E’ infatti necessario “intuarci” nei fratelli che ci sono accanto e che sono parte del corpo mistico di Cristo stesso. In altre parole, non possiamo entrare pienamente nel mistero di Cristo, senza provare una compassione empatica verso tutti gli uomini, specie verso coloro che sono più feriti ed “esodati” dalla dignità. E’ questa la via indicataci da Gesù nel discorso sul giudizio finale (cfr Mt 25,31-46): “in verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Posso quindi “intuarmi” in Cristo scendendo come lui in mezzo all’umanità ferita (cfr Fil 2,6-9) e facendomi carico del mio fratello che vive nelle tenebre e nell’ombra della morte (Cfr Lc 1,72) portando nei loro inferi la testimonianza e gli effetti dell’ immiarsi di Cristo nella storia e nella natura umana.
Concludo con un augurio: contemplando il mistero del Natale di Cristo (che si immìa) possa la nostra anima essere un’aggiunta d’umanità nella quale Egli rinnovi tutto il suo mistero, e volendo vivere in pienezza questo dono, cresca in noi il desiderio di accoglierLo nei nostri fratelli ( “intuarci” nel corpo mistico).