Sin dagli inizi del suo pontificato, Papa Francesco ci ha abituati a gesti innovativi, interpretati da alcuni come rottura con le granitiche tradizioni della cattolicità e da altri come profezia e sforzo di incarnare il messaggio evangelico nelle concrete contingenze di un mondo globalizzato e di una storia in necessaria evoluzione verso la parusia.
Anche il suo recente viaggio negli Emirati Arabi, culminato nella sottoscrizione di un documento sulla fratellanza con il grande imam di Al-Azhar, la massima autorità morale dell’ Islam sunnita, si è inserito inevitabilmente all’interno di questa dialettica.
Ai commenti entusiastici per un gesto religioso e politico che sollecita e favorisce la pace e il dialogo, si sono alternati quelli preoccupati di coloro che temono la messa in discussione di principi teologici non negoziabili.
Senza pretesa di autorevolezza, anche noi vogliamo inserirci nel dibattito con lo scopo di sostenere l’azione pastorale di Papa Francesco e di leggerla nel giusto contesto senza eccedere in facili entusiasmi e in pericolosi arroccamenti.
Partiamo da un principio metodologico che ci sembra fondamentale e che scaturisce dal magistero della Chiesa postconciliare ma ancor più dalla logica del vangelo: cercare sempre e dovunque il bene e privilegiare ciò che unisce rispetto a ciò che divide. Sentimenti quali misericordia e fratellanza, desiderio e bisogno di amore, sono presenti in ogni uomo, credente o no, e sono manifestazione e conseguenza della immagine somigliante di Dio impressa in lui all’atto stesso della creazione. E’ necessario perciò superare tutti quegli schematismi dottrinali che favoriscono separazioni ed avviare un dialogo che non mortifica, ma ricupera, tutto il bene presente nell’altro e diviene premessa necessaria alla costruzione della pace e all’annuncio del Vangelo. In questa logica la Chiesa, è chiamata a fare il bene, più che a distruggere il male, ed edificare più che a demolire. E’ indubbio che le scelte pastorali di Papa Francesco si muovano giustamente su queste premesse!
A quanti, in nome di una difesa rigida del depositum fidei, si sono arrogati il diritto di criticare il Santo Padre per la scelta di dialogare con l’Islam, accusandolo di favorire un pericoloso sincretismo religioso, ci sentiamo di ricordare che è dottrina teologica acquisita dall’antichità che anche al di fuori dei confini della Chiesa visibile (quindi anche nelle diverse religioni) sono presenti “semi del Verbo“. Certamente questo non deroga al principio che Cristo è l’unico salvatore dell’ umanità (Cfr At 4,12) e che la Chiesa è “Sacramento universale di Salvezza” (Cfr L.G. 48) ma è compito dei pastori, in particolare dei pontefici (fabbricatori di ponti), ribadire, nonostante le differenze, la sostanziale unità dell’umanità in Cristo.
In fondo è proprio questo che, più o meno esplicitamente Papa Francesco ha fatto incontrandosi con il grande imam di Al-Azhar e sottoscrivendo lo “storico” documento di Abu Dhabi destinato a divenire una guida per le nuove generazioni verso una cultura di reciproco rispetto e di integrazione.
Un documento nel quale si afferma la “comune vocazione di tutti gli uomini e le donne ad essere fratelli in quanto figli e figlie di Dio” e in cui si condanna “ogni forma di violenza, specialmente quella rivestita di motivazioni religiose” e che, come ha dichiarato lo stesso Papa Francesco, “…sarà studiato nelle scuole e nelle università di parecchi Paesi”.
Vogliamo però spendere qualche riga anche per coloro che, banalizzando le fondamentali differenze tra Cristianesimo ed Islam, auspicano un pericoloso appiattimento della dogmatica cristiana in nome di un irenismo facilone e farlocco e vedono nel documento di Abu Dhabi, l’inizio di un cammino in tal senso.
Non è certamente un caso che l’incontro di Abu Dhabi, sia avvenuto a 800 anni di distanza dall’incontro a Damietta tra S. Francesco di Assisi e il Sultano Malek al-Kamelquando, come qualcuno ha scritto, “ il Vangelo si incontrò con il Corano e il Corano con il Vangelo. Francesco non ebbe paura di Maometto e il Sultano non ebbe paura di Cristo”. Il poverello di Assisi dialogò con il Sultano ma non scese a compromesso con la sua Fede (Cfr Fonti Francescane 2691).
Insomma: è sacrosanto privilegiare ciò che unisce rispetto a ciò che divide, ma è doveroso non trascurare le differenze essenziali per favorire una impossibile convergenza dottrinale. Non è questo il luogo per una disamina delle differenze fondamentali tra Islam e Cristianesimo, ma invitiamo i nostri lettori ad approfondire personalmente la questione con onestà intellettuale.
L’atteggiamento dialogante che caratterizza tutto il ministero di Papa Francesco è conseguenza del cammino teologico scaturito dal Concilio che ha favorito una rinnovata autocoscienza della Chiesa. Abbiamo detto “rinnovata” e non “nuova”, intendendo con questo che essa non è ( e non potrebbe essere !) in contraddizione con il Magistero che l’ha preceduta e con le verità dogmaticamente certe. Papa Francesco, nonostante le accuse pregiudizievoli di alcuni, si muove su questo postulato.
Ci pare poi, doveroso sottolineare una dimensione, che ci sembra fondamentale, e che non è stata affatto considerata dai mass media. La firma del documento di Abu Dhabi, segna una svolta epocale per la teologia islamica. E’ la prima volta infatti che un’altissima autorità musulmana, derogando al principio che il Corano, (essendo stato rivelato direttamente da Allha a Maometto), si applica alla lettera e che sono proibite e punite le sue interpretazioni (cfr Sura 18; Versetto 27), supera di fatto il contenuto di diverse sure (una per tutte la sura 9 al versetto 29) chiaramente poco concilianti verso i cristiani e, in nome di valori umani condivisi, sottoscrive e sancisce un documento con uno dei capi più rappresentativi dei kāfirūn (infedeli). E’ un piccolo passo di modernizzazione dell’Islam e un sostegno autorevole a tutti quei musulmani che, sensibili ai segni dei tempi, si sono impegnati a rileggere la propria fede alla luce di una realtà plurale e a tradurla in uno stile di vita che, senza snaturarne i principi, sia aperto al dialogo e all’interazione pacifica.
E’ indubbio che lo sforzo di Papa Francesco, di creare ponti invece che muri, infrange schemi inveterati e comodi che dividono uomini in amici e nemici e per questo è soggetto a sabotaggi e interpretazioni pregiudiziali. A noi pare che in questi nostri tempi in cui si rischia sempre più di considerare ogni “altro” un pericolo, il Papa ha offerto al mondo un segno chiaro e deciso che, pur nella diversità delle culture e delle tradizioni, è sempre possibile incontrarsi, rispettarsi e dialogare.